Il culto dei morti è una pratica antica che riflette il bisogno dell’essere umano di onorare e ricordare i defunti.
Attraverso il culto dei morti, l’essere umano cerca di mantenere un legame con i propri cari scomparsi.
Il culto dei morti rappresenta così un aspetto fondamentale della cultura umana.
In questo articolo approfondiremo il culto dei morti nelle varie ere.
Le modalità con cui si esprime il culto della morte e dei defunti dipendono dal concetto culturale o religioso di ciò che si ritiene accadere dopo la morte stessa; nel corso della storia dell’uomo il culto della morte è cambiato parallelamente al modificarsi del concetto di vita oltre la morte.
Il concetto della sopravvivenza dello spirito oltre la morte e i primi rituali di sepoltura risalgono al paleolitico (100.000 a.C); quando si lasciavano nella tomba oggetti personali e utensili, armi per continuare a combattere, e spesso si componevano giacigli con fiori e piante medicinali. L’uso dei cimiteri veri e propri iniziò circa 12.000 anni fa.
L’uomo primitivo, nomade e semi-nomade
Seppelliva i propri morti in ripari sotto rocce e grotte. Nel Neolitico, quando l’uomo imparò a sfruttare le risorse naturali per produrre il cibo, venne meno l’esigenza di migrare, nacquero i primi villaggi e le prime necropoli.
La necessità di garantire uno spazio dedicato e ben delimitato ai defunti, così come l’usanza di lasciare nelle tombe utensili e suppellettili, era tesa a garantire la separazione dal mondo dei vivi e a fornire il necessario per il lungo e difficile viaggio verso un aldilà di varia connotazione a seconda delle credenze.
Nell’antica Mesopotamia
I defunti dovevano necessariamente essere sepolti nel sottosuolo, ove si trovava l’oltretomba. Bisognava garantire loro un accesso che li conducesse agli Inferi, altrimenti lo spirito sarebbe rimasto intrappolato nel mondo dei vivi. Dove, costretto a errare senza meta, cercando invano l’accesso per l’Aldilà, avrebbe sfogato la sua disperazione sui vivi stessi. La privazione della sepoltura era considerata una pena applicata per gravi colpe, oppure espressione di profonda ostilità nei confronti dell’estinto.
Gli antichi Egizi
Credevano fermamente nella vita ultraterrena, e per questo avevano sviluppato una serie di riti complessi per consentire la continuazione della vita oltre la morte. Era necessario preservare il corpo del defunto con la mummificazione, per consentire all’anima di vivere nel corpo imbalsamato. Nella tomba veniva lasciata ogni suppellettile utile, oggetti, cibi, profumi e vestiti; veniva anche un modellino di barca per il trasporto nell’Aldilà. La tecnica della mummificazione poteva essere praticata per vie naturali. Grazie alle tombe sabbiose e ventilate che asciugavano il corpo, o tramite l’imbalsamazione, procedura ancora oggi non del tutto nota. Il cervello veniva gettato via mentre il cuore, con la psicostasia – il rito della pesatura – permetteva il passaggio alla vita eterna.
Per gli antichi Etruschi
i defunti continuavano la vita dopo la morte nelle loro stesse tombe. Esse venivano attrezzate con tutto il necessario come una replica delle loro stesse abitazioni. Per questa ragione le Necropoli etrusche sono vere e proprie cittadine tombali. Dal V secolo a.C. l’influenza della civiltà greca determinò una concezione più pessimistica della vita anche per gli Etruschi. Consapevoli ormai del declino della loro civiltà, cosicché anche l’Aldilà era localizzato in un mondo sotterraneo ove trasmigravano le anime dei defunti. Abitato da divinità infernali e da spiriti di antichi eroi. Ogni defunto sarebbe stato condotto in un mondo senza luce e speranza; in cui il fluire del tempo era segnato dai patimenti delle anime che ricordavano i momenti felici delle loro vite terrene. Le sofferenze delle anime dei morti potevano però essere alleviate dai parenti con riti, offerte e sacrifici.
Nell’antica Roma
nascono le prime imprese funebri, i libitinarii, addetti ai funerali delle persone più ricche. Non si conoscono i riti, ma si sa per certo che i corpi erano cremati su pire di legno o inumati; la cremazione era il rito prevalente, e quindi le ceneri erano raccolte in un’urna funeraria e deposte in una nicchia ricavata in una tomba collettiva chiamata columbarium. Le esequie duravano più giorni, con il coinvolgimento di attori, mimi, danzatori, musici e lamentatrici professioniste, le prefiche, assunte allo scopo.
Le comunità cristiane dei primi secoli
non hanno cancellato le tradizioni e i riti pagani attorno alla morte che coesistevano. I pagani usavano fare un banchetto in giorni stabiliti dopo la morte e anche nell’anniversario della nascita della persona defunta. Anche i primi cristiani adottarono questa usanza, ma con alcune modifiche riguardanti giorni e modalità: a Roma i pagani ricordavano il 9° e il 40° giorno con sacrifici funerari agli dei, mentre i cristiani di Roma adottarono il 3°, il 7° e il 30° giorno: il 3° giorno in riferimento alla resurrezione di Gesù, il 7° in ricordo dei sette giorni di lutto per la morte di Giacobbe padre di Giuseppe, il 30° in memoria dei 30 giorni di lutto per la morte di Mosé.
Le prime comunità cristiane,
poi, si radunavano per l’eucaristia nel giorno anniversario della morte che, alla luce della fede, diventa il giorno della nascita alla vera “vita senza fine”. Queste celebrazioni, come ricorda sant’Ambrogio verso la fine del IV secolo, avevano un carattere di festa e non si svolgevano in una atmosfera funerea. Soltanto in seguito prevalse l’idea dell’incertezza circa la sorte del defunto al giudizio di Dio e pertanto l’eucarestia assunse un valore propiziatorio, e la messa venne inserita nel rito funebre. È possibile che il rito ancora attuale delle messe in suffragio dei defunti avesse inizialmente lo stesso significato propiziatorio.
Nell’antica Grecia,
nel 1.500 – 1.000 a.C., gli acheo-micenei conobbero due sistemi di sepoltura: cremazione e inumazione. In entrambi era essenziale la copertura del defunto con la terra: la vista dei resti di un defunto offendeva gli dei celesti e poteva rappresentare grave mancanza di rispetto verso i defunti stessi, poiché questi non avrebbero mai trovato pace se non ricoperti di terra. Solo dopo copertura il defunto era ammesso agli inferi.
Nessun defunto poteva essere lasciato insepolto
Questo perché sarebbe stato un castigo peggiore della morte stessa. I familiari dovevano posizionargli una moneta nella bocca, per pagare l’attraversamento in barca dello Stige, il fiume del lamento. Il defunto veniva lavato e profumato con unguenti e rivestito di abiti normali, poi coperto con ghirlande di fiori e nastri.
Il corpo veniva trasferito sopra un letto in posizione quasi verticale, per essere visto da chi gli rendeva gli onori, nella consuetudine dell’esposizione funebre, che era una forma di rito purificatorio, poiché i presenti dovevano spruzzare sul defunto acqua profumata con piante aromatiche. Le donne di casa o mercenarie assunte appositamente, assistevano la salma con continue lamentazioni.
Le vere e proprie esequie si tenevano tre giorni dopo la morte e terminavano con l’accompagnamento funebre sino al rogo, o direttamente alla tomba in caso di inumazione. Era consuetudine bruciare i doni insieme alla salma, o seppellirli accanto al defunto nel caso di inumazione.
Il rito omerico*
prevedeva invece che il defunto, prima di essere cremato, ricevesse come offerta propiziatoria alcuni capelli che ogni parente o amico si strappava dal capo: acceso il fuoco, i parenti più prossimi stavano a sorvegliare sino a che tutto si fosse ridotto in cenere. A rogo estinto, le ceneri venivano innaffiate con vino e poste insieme alle ossa in un’urna, e quindi sepolte. Dopo le esequie, i congiunti del defunto si riunivano per una cena funebre. Come segno di lutto, era obbligo indossare abiti scuri oppure bianchi, non era permesso portare gioielli o altri ornamenti, né usare profumi o cosmetici, i capelli dovevano stare sciolti oppure essere tagliati. I defunti venivano ricordati negli della loro nascita, della loro morte, e anche nel giorno dedicato a tutti i defunti: in questa occasione le tombe venivano adornate con corone di fiori e di erbe, con nastri e con vasi.
Nel Medioevo
i morti rientrano nella città, nelle chiese, che diventano anche luogo di sepoltura di Martiri e di Santi. La conservazione e venerazione delle reliquie dei Santi è un aspetto della difficoltà ad accettare interamente l’idea di un distacco totale dell’anima dal corpo. Allo stesso tempo si prese l’abitudine di utilizzare pesanti pietre tombali per impedire ai morti di frequentare il mondo dei vivi. Allo stesso tempo si prese l’abitudine di porre pesanti pietre tombali per impedire ai morti di frequentare il mondo dei vivi.
Tutti i nostri più importanti poeti, da Dante a Petrarca, da Leopardi a Foscolo, hanno spesso tratto ispirazione per le loro poesie dal culto delle tombe, e nelle loro opere si intravede la speranza di una possibile continuazione della vita oltre la tomba.
In Cina,
i riti taoisti, buddisti o confuciani, attribuiscono un valore importante al culto dei defunti e alle cerimonie che accompagnano l’anima nell’aldilà, che hanno una caratteristica comune: il colore del lutto è il bianco, colori e musiche accompagnano l’ultimo viaggio. Secondo i cinesi la giada possiede poteri speciali e benevoli e talvolta i defunti vengono seppelliti con dischi di giada a forma di mandorla sugli occhi. Per la deposizione della salma presso il luogo sacro, di solito si ricopre la bara con una tavola sulla quale viene incollata la foto del defunto, scritto il nome e indicato lo stato sociale, perché ancora oggi la società cinese si fonda su una radicata tradizione che prevede la divisione in classi sociali ben definite
Nella cultura cattolica esiste un giorno dedicato alla commemorazione dei defunti, il 2 novembre,
la cui istituzione si deve all’abate Odillon di Cluny tra il 1024 e il 1033. Scrive di lui il cardinale Pier Damiani che, avendo scoperto che nei pressi di un vulcano in Sicilia si udivano le grida dei demoni a cui venivano strappate le anime dei defunti grazie a preghiere ed elemosine, ordinasse che nei monasteri cluniacensi da lui dipendenti si celebrasse la commemorazione dei defunti il giorno successivo alla festa di tutti i Santi.
* L’attenzione per il corpo del defunto ha grande rilievo nei poemi omerici, data la loro appartenenza a una cultura in cui l’importanza del cadavere e delle cure da dedicargli è forse pari a quella dell’anima e ha un’importanza fondamentale per il benessere di quest’ultima.
In ogni epoca storica il culto dei morti si è adattato ai tempi.
Negli ultimi decenni la cultura della sepoltura e del lutto è cambiata: è cambiato l’atteggiamento nei confronti del morire e della morte, l’incapacità di sostenere la malattia e la morte dettata dalla vita sociale attuale fanno sì che la morte diventi un fatto da “gestire” e possibilmente da “far gestire”. I riti della sepoltura cambiano: le tombe cadono in prescrizione, non esistono sepolcri eterni; funerali e cremazione sono normati da leggi. Anche per motivi pratici si è passati dalle sepolture in terra alla cremazione. È possibile la tumulazione anonima dell’urna o la deposizione delle urne di cremazione o delle ceneri in mare o altrove. Si sta spezzando la catena delle generazioni, si fa strada l’assenza di storia per ciascuno di noi e vengono meno gli aspetti esteriori del lutto. Oggi si potrebbe scomparire senza lasciare traccia! il culto dei morti il culto dei morti il culto dei morti il culto dei morti il culto dei morti il culto dei morti
Un altro aspetto della modernità ci deve indurre a profonde riflessioni: i social network costituiscono già ora
un “cimitero virtuale” con infinite capacità di “memoria”.
A oggi ci sono più di 30 milioni di profili online di “scomparsi” e dopo il 2065 ci saranno più account di utenti deceduti che di vivi. La rete conserva praticamente per sempre informazioni immesse consapevolmente e non, e il nostro patrimonio digitale costituisce oggi prova e memoria della nostra esistenza. Ma chi gestisce dopo di noi le informazioni che vi abbiamo affidato? In parallelo con le antiche civiltà, arriveremo a portare nella tomba smartphone, tablet, pen-drive in caso ne avessimo bisogno o per non lasciare “eredità digitali” che potrebbero essere manipolate? Dovremo lasciare disposizioni testamentarie non solo per beni mobili e immobili ma anche per la nostra memoria digitale.
È convinzione molto realistica che sia tecnicamente impossibile rimuovere un dato digitale una volta in circolazione nella rete. il culto dei morti il culto dei morti
Nella rete i defunti continueranno a stare tra noi e la morte diventerà un evento collettivo, non più un lutto privato.